Il cuore della teoria si riassume in alcuni semplici elementi:
Le quattro funzioni della personalità
Il teatro esprime quattro caratteristiche della psiche umana:
- 1-l’autore che ha l’idea, il soggetto;
- 2-l’attore che questa idea realizza;
- 3-il regista che media fra le idee dell’autore e le possibilità dell’attore;
- 4-lo spettatore che vive il risultato di questa interazione;
L’interazione fra questi aspetti che avviene nella produzione teatrale può servire per interpretare le funzioni psichiche legate all’espressione del soggetto.
Il disturbo di queste funzioni e della loro relazione determina la perdita della capacità di espressione della persona, in particolare:
- A-Il disturbo relativo all’autore si manifesta attraverso la sua difficoltà ad entrare in contatto con la realtà esterna e con il restare chiuso nel proprio mondo interno o attraverso la coartazione delle proprie idee o attraverso la loro enfatizzazione, ma soprattutto evidenzia una sorta di autoreferenza che impedisce al ricevitore della comunicazione, all’altro, di entrare in contatto con il soggetto.
- B-Il disturbo nell’attore è legato alla sua capacità di trasformare un’ idea in azione e di interpretarla all’altezza del mondo esterno e del mondo interno, l’attore è la vittima del giudizio del mondo esterno e di quello del mondo interno; infine deve tenere conto delle sue possibilità, oltre che dei propri risultati.
- C-Il disturbo relativo al regista interno, riguarda la capacità di mediazione fra interno-autore, attore e esterno-spettatore; il tradire l’autore, la critica dello spettatore e la sua dipendenza da questi fattori sono fra i suoi problemi che possono paralizzare l’attore e bloccarne l’espressione, il ruolo del regista interno è quello che maggiormente consente il lavoro sull’espressione e il teatroterapista vicaria con la sua azione il difetto di questa funzione, spesso deficitaria nelle persone.
- D-Il disturbo relativo allo spettatore interno riguarda l’interiorizzazione di giudizi subiti e vissuti, che porta il soggetto ad anticipare il giudizio negativo e a paralizzare l’espressione dell’azione.
Il ripristino della fluidità fra queste funzioni determina la capacità di esprimersi nel mondo e con se stessi.
Corpo, voce, emozioni, mito e simboli; arte, movimento, suono e ritmo, improvvisazione; attenzione all’anima e al gruppo sono i temi di ogni esperienza di teatroarteterapia, talmente legati da non essere distinguibili altro che dal Trainer, come ci piace chiamare il teatroarteterapeuta.
L’obiettivo della teatroterapia non è lo spettacolo quanto piuttosto il rischiare fuori di se’ il proprio mondo interno e le proprie relazioni, per poi tornare a incontrare se stesso con una piccola luce in più sulle proprie risorse e emozioni in gioco.
Incontrarsi per fare teatroarteterapia vuol dire mettersi in gioco e giocare, uscire dalla realtà ordinaria e aumentare il livello di percezione di se’ e di se’ nel gruppo, intensificare la propria sensibilità, imparando a sperimentare i propri limiti e la capacità del gruppo di sorreggere ogni partecipante.
Ognuno non è solo in questo viaggio: i trainer sono gli accompagnatori, discreti, nel processo creativo dei propri partecipanti, attenti nella osservazione di ciascuno e delle dinamiche di gruppo.
L’esperienza nasce da una attivazione psico corporea, possiamo chiamarla espressione corporea, si tratta di una sequenza di movimenti che scaricano le tensioni superficiali, e man mano più profonde, del corpo e della mente, rimettono in fase il respiro, e attraverso il suono, e la luce attenuata, creano una alterazione della propria condizione percettiva, man mano più aperta alle sensazioni personali e del gruppo.
Nell’ambito di un percorso di benessere organizzativo e riduzione dello stress da lavoro correlato abbiamo inteso rivolgere la nostra attenzione allo sviluppo della qualità di relazione del soggetto nel gruppo. Seguendo le strade della teatroarteterapia il percorso si è centrato sulla percezione di sè e di sè in rapporto con l’altro e con lo spazio.
Percepirsi comincia con un ascolto del proprio gesto e del proprio respiro che si trasforma in un ampliamento del proprio spazio percettivo, interno e gestuale, rivolto anche al gruppo dei partecipanti. Questo ascolto attivo di sè consente di centrarsi nel contesto e passare alla relazione con l’altro.
Riteniamo che aumentare la consapevolezza della propria prossemica, il modo con cui ci poniamo in rapporto gestuale con l’altro, possa aiutare il partecipante a cogliere che nelle relazioni la gestualità è segnale di sè e influenza, venendone a sua volta influenzato, il rapporto con l’altro.
Nella relazione con l’altro in contesti aziendali riconoscere lo spazio prossemico aiuta a ridurre o a riconoscere quegli incidenti di relazione, che precedono e favoriscono gli incidenti stessi: essere nel posto che sentiamo nostro, e recuperare una dimensione di confronto con l’altro è la base per il passaggio successivo: lavorare insieme.
L’esperienza di gruppo della “invenzione e creazione di una macchina immaginaria” fornisce la possibilità di confrontarsi con le dinamiche di gruppo e con le strade che la risoluzione di un problema riesce scovare per realizzare il compito.
Si tratta di gestire la mediazione con i livelli di affermazione è autoaffermazione dei membri del gruppo, si tratta di gestire la propria ansia rispetto al compito ed al ruolo che assumiamo, si tratta infine di esporre il proprio risultato alla visione e condivisione con gli spettatori, che nella realtà aziendale sono i committenti del compito e le gerarchie organizzative.
La relazione e le modalità con cui si esprime il risultato dell’esperienza, con cui la “macchina” si mette in funzione, diventano così gli aspetti da prendere in considerazione come quelli che determinano il successo ed il fallimento di pensieri, azioni e progetti che non riescono a diventare operativi se non trovano nutrimento proprio nello stile di comunicazione, nella cura del ruolo e della risonanza personale di ciascuno.
L’effetto collaterale, ma non secondario di un lavoro esperienziale, è la scoperta dell’altro attraverso canali divergenti di relazione, attraverso la sperimentazione di codici non verbali, per certi versi anche ludici, che possono mettere in evidenza quegli aspetti di umanità e di contatto che nelle relazioni finalizzate ad un compito spesso si dissolvono e che invece possono costruire quella fiducia che realizza “la squadra” che riesce a gestire con successo progetti e relazioni interpersonali.
La qualità di una organizzazione si può misurare, oltre la realizzazione della propria mission, nel modo con cui le relazioni interpersonali riescono a costruire capacità di incontro, di gestione della frustrazione e del successo, della valorizzazione delle potenzialità di ciascuno dei suoi membri.